Cromorilievo (Fondorilievo) 1974
tasselli di legno su tavola
90 × 90 × 12 cm
XIX Premio Termoli 1974
Foto: Gianluca Di Ioia
testo di Tommaso Trini (grazie all’Archivio Dadamaino)

Col suo recente ciclo di rilievi, rilievi - colori più che colorati, Dadamaino ci presenta un «dopo» e un «prima» delle sue ricerche di colorista: un ciclo, un lavoro in movimento, un movimento che come tale tende a concludere un’esperienza e ad aprirne un’altra. Nulla è scontato, neppure il quadro di referenze dell’arte neoconcreta.

Non si sottovaluti questa esigenza generale di rimettere in questione quell’insieme di regole e canoni che noi chiamiamo «metodo»; equivale a esercitare la critica dell’ideologia, posto che si possa dire tale sistema che fa capo a una corrente artistica, non importa quale, allorché è dominante (sono ideologia le idee che dominano) - allorché il metodo tende al riposo invece che ai conflitti.

Giustamente «dopo» che per anni, nell’ambito delle ricerche sul colore, ha sperimentato lo sperimentabile (e ciò vuol dire: la maggiore ampiezza di analisi che il suo linguaggio conscio e inconscio le consentiva in un dato momento storico), Dadamaino usa oggi i risultati così acquisiti per rigenerarli nelle incognite dello spazio virtuale della tela, spazio di superficie, spazio di illusionismo.

È insieme una svolta, un proseguimento, una ripetizione: se ne può anticipare il senso dicendo che Dadamaino sta doppiando l’attenzione per la visione del colore con l’interesse nuovo per l’indagine sul piano pittorico, che è luogo di immagini e di colori vissuti.

Insieme con questi rilievi ho visto altri lavori, altre recenti prove, che mostrano appunto come l’analisi logica della sintassi di fondo, quella cromatica, stia cedendo il passo al problema dello spazio mediante la costruzione di proiezioni geometriche e tridimensionali sulla superficie bidimensionale: ciò che Dadamaino fa ugualmente con un approccio logico e razionale, ma con risultati che restituiscono alla visione tutti i suoi enigmi: di queste prove, di cui l’autrice è ancora insoddisfatta, varrà la pena di tenere conto.

Così allarghiamo il contesto di un’opera in sviluppo in cui gli attuali rilievi meglio faranno intendere le ragioni di alcuni loro tratti peculiari. L’emergere di colori secondari e terziari rispetto alla preferenza di quelli primari com’è d’uso presso i coloristi logico-astratti: nulla impedisce, se non canoni d’altri tempi, di arricchire la sensibilità luminosa degli stimoli ottici. In passato, Dadamaino ha raccolto d’altronde tavole-sinottiche in serie sulle relazioni e gli equilibri della luce.

Coloro che considerassero manieristico questo suo sforzo di totalità dovrebbero ben riguardarsi dalla loro rigidità mentale oltre che ottica. Un’altra particolarità è che il digradare del colore in zone di intensità forte e debole di tinte e gradienti dà luogo a forme; forme geometriche, triangoli e quadrati creati non dal disegno ma dal colore per effetto di saturazione e dispersione all’interno di ciascun rilievo, e che di rilievo in rilievo, talora in serie, si rincorrono, modificano, alternano; sono forme evanescenti perché affidate più che altro all’occhio e alla mobilità della percezione, ma già avanzano le loro pretese sullo spazio. Come nelle esperienze minimal americane, dove le premesse costruttiviste si sono arricchite al presente con i contributi della topologia, di una più moderna apprensione sia fisica che psicologica dello spazio, le forme - colori della Dadamaino non si possono dire più soltanto geometriche, pur non essendo affatto organiche.

Resta, come modello operativo di una tradizione recente, il rilievo. Il rilievo, stadio intermedio tra il piano pittorico e l’oggetto scultura, serve a fare con più immediatezza e a pensare con maggiore concretezza: sia perché noi (come insegna la psicologia delle Forma) percepiamo più presto e più facilmente in tridimensione: sia perché il rilievo, pur così prossimo all’astrazione che il piano di un quadro comporta, si articola in pieni che fanno dimenticare i vuoti, richiama all’idea della scena dove le cose accadono in concreto invece di essere semplicemente dette con i modi del pensiero astratto.

Nel lavoro della Dadamaino, il rilievo sussiste ancora per codesta funzione conoscitiva e didattica che i costruttivisti gli restituirono; coi suoi tasselli, però, atomi che sono sorgente del numero e pur essendo di un numero finito rimandano all’infinità dei segni, è la disponibilità di una superficie della tela che viene evocata.

Osservazioni sufficienti a porci fuori dagli ordini già costituiti e sovente chiusi in quelle tendenze artistiche che irrigidiscono il loro sapere a difesa, dicono, di una metodologia di ricerca sperimentale e analitica, col presupposto di farlo da posizioni materialiste. Ora, è proprio la verifica del loro materialismo che si impone.

Albers, pubblicando nel ‘63 il suo Interaction of Color, riassumeva la sua teoria e il suo insegnamento intorno alla «scoperta che il colore è il mezzo d’espressione artistica più relativo che ci sia, e che il suo più grande interesse, si situa oltre le regole e i canoni».

Si riferiva ai canoni della scienza fisica e psicologica della percezione dei colori, e gli si può credere per poco che si guardi alle esperienze passate e recenti degli artisti, a parte la sua autorità. La diffidenza dovrà moltiplicarsi se poi le regole e i canoni derivano dalla stratificazione dottrinaria che la storia, la storia delle esperienze che ancora ci guidano (in questo caso neoplaticismo, costruttivismo, concretismo, tendenze programmate), ci mette a disposizione.

Né si disgiunga la dottrina dalle interferenze economiche, e cioè dal mercato, poiché è di fatto il mercato a condizionare il rigore di ogni tipo di poetica (leggi anche etichetta): dove le poetiche, termine abusato dalla stampa, sono cappelli mondani sopra la testa di teorie che non hanno avuto il tempo o la capacità di riempirsi le idee. Insomma, molte le poetiche, pochissima la teoria: che tra gli artisti (prima della terminologia valsa in uso con i concettuali) abbia altri nomi – di ricerca, di sperimentazione - poco importa: la teoria è una scienza prima di essere scientifica, e si da il compito di rinnovare e creare gli strumenti concettuali necessari a comprendere, in una realtà mutevole che ci sfugge e ci contraddice continuamente, il flusso infinito della verità. Non si vuole che tutti gli artisti debbano teorizzare. Dadamaino non ha mai scritto teorie: ha guidato certamente la sua pratica al passo della sua conoscenza, con intenti analitici e cognitivi. Quel che si vuole è la teoria, in chi la fa, non si irrigidisca fino a cambiare di segno; che se è materialista, non si ricacci nell’idealismo; che se è dialettica non si ritrovi un giorno metafisica. «La pratica, la conoscenza, di nuovo la pratica e la conoscenza», è un processo politico che l’arte ha smesso di ignorare.

Quel che ancora preoccupa numerosi artisti è la lotta del razionale contro l’irrazionale, del logico contro l’illogico, del metodo contro l’empirìa, del sistematico contro l’asistematico, in una serie di dicotomie che riguardano più i temi della realtà, dove conta l’opposizione dei punti di vista invece della comprensione complessa dei conflitti reali, non solo estetici, che vanno pensati come contraddizioni. È anche vero che molte di queste posizioni non sono materialiste né dialettiche, bensì tardo-positiviste: prive di pensiero negativo. Ma laddove lo sono, ci si dovrebbe preoccupare in primo luogo della lotta incessante con cui l’idealismo continua a contendere, per le oscure vie del pensiero, il terreno che il materialismo gli fa progressivamente perdere sia nel pensiero sia nella realtà. La questione sarà allora la seguente: quali sintomi di idealismo, quali idealizzazioni, si annidano nelle posizioni tecnicamente corrette nello specifico di quei ricercatori o operatori visivi che si vogliono materialisti?

Lungi dal considerare «il colore come realtà fenomenica», «la fenomenologia del colore» essendo appunto un vespaio di idealizzazioni, Dadamaino astrae il colore dalla verosimiglianza del mondo visibile e lo storicizza secondo i tempi, collegandolo oggi allo spazio, come la materia (tale è il colore in pittura, materia prima) ad un luogo preciso. Pur non essendo soggettiva, tutt’altro che personale, l’informazione che proviene dalle sue strutture cromatiche non è banalmente oggettiva e neutra: sarebbe ancora censurare il soggetto, secondo posizioni pre-freudiane, per dirla schematicamente, ormai inaccettabili.

Tommaso Trini

Testo critico nel catalogo della mostra di Dadamaino del 1975 presso Team Colore, Milano. Si ringrazia l'Archivio Dadamaino.