Levitazione cielo quadrigetto 1969
2 elementi: acrilico su tela
100 × 50 cm
XV Premio Termoli 1970
Foto: Paolo Lafratta
testo di Paolo Fossati (grazie a Casa Museo Antonio Carena)

I cieli di Carena sono un metodo di lavoro. Carena, in altri termini, fa dei cieli, non li dipinge né li costruisce. O, se si preferisce, sono il risultato di una combinazione di operazioni che agiscono l'una sull'altra, che combinano scelte e che analizzano possibilità e strade sbarrate: e il risultato finale ne è, oggettivamente, il metodo.

Intanto, questi cieli sono un motivo visuale. Nascono cioè a un duplice livello di constatazione visiva: cieli veri e propri, in primo luogo, e, subito dopo, con una contiguità automatica, cieli-sigla, simbolo del mestiere di saper fingere cieli con una scommessa di risultato persuasivo, di saperli dipingere convincendo gli spettatori a una effettiva presenza. Ma i cieli visti non sono natura: l'azzurro, le nubi, il trapasso di luci son visti già materializzati sulle scocche delle automobili, di cui conservano, appena son visti, persino lo sbalzo funzionale della lamiera che diventa portiera, fiancata d'auto. La constatazione incorpora con il cielo l'oggetto della sua contingenza: e, per contro, il Carena che, con pazienza applica il mestiere a fingere questa constatazione sulla superficie metallica che diverrà un plausibile "auto+cielo", spezza l'oggetto quadro in due, mestiere più finzione, in cui il mestiere con il suo artigianato serve a materializzare per la pigrizia del contemplante una situazione ("il cielo") che né l'operazione del fare l'oggetto, né il risultato illusivo di per sé contengono. In altri termini, il fatto che le constatazioni di Carena divengano di necessità (automaticamente) delle precise operazioni, paralizza e distrugge un processo di occultamento psicologico della realtà effettuale, costringendolo ad essere un dato oggettivo, da maneggiare e usare spoglio di qualsiasi ulteriore allusività ed illusione.


Poi, questi cieli sono oggetti, nella loro totalità e presenza. Perché questo cielo industriale in cui ogni passo del processo di produzione è la continua analisi delle possibilità che i vari momenti hanno di essere strumentalizzati a un certo fine, è trattato, costruito, realizzato con la più paziente e artigianale affermazione del mestiere. Con la conseguenza di scoprire le contraddizioni, i trucchi e le falsature che il mestiere, come norma di un'attesa di assolutezza, comporta: primo fra tutti un preciso calcolo delle possibilità psicologiche di una tela ad esser "cielo". Dichiarando esplicitamente che questi cieli sono un oggetto Carena inverte il senso della "sorpresa ' surrealista: l'aldilà della realtà è non il mondo ignoto e notturno di un rovescio rifiutato, ma quello reale e noto di un occultamento a cui la finzione della pittura ha offerto i suoi servigi. E sono proprio questi servigi che Carena rigetta, è da essi che depura i suoi "cieli" quando li porta ad essere solo oggetti. La sorpresa, anziché prender di petto lo spettatore, agisce sull'oggetto, lo costringe a rivelarsi e a svelarsi per ciò che di fatto è.


La cosa è tanto più evidente nelle ultime opere, in cui la capacità di fare aderire l'operazione artigianale della costruzione, e la perfezione del risultato, tocca esiti ottimi, con l'uso di nuove tecniche della resina plastica. Il senso di salute fisica che l'oggetto perfettamente riuscito evoca non sai se attribuirla ad un saggio inscatolamento dell'aria di questi cieli o all'abbandono fiducioso al mondo limpido della tecnica riuscita: anzi qui l'oggetto promuove uno scambio tanto fitto tra l'una cosa e l'altra, e così bene costringe di fronte alla prima sensazione ad invocare la seconda, e viceversa, da svelare in tutta la sua sottile intelligenza critica il senso d'un tale lavoro.


Questo disoccultare un certo automatismo di attese e risposte (sensazione visuale - finzione pittorica) e tradurlo in una serie di sistemi di relazione e di costruzione di diversa ampiezza e spessore, è appunto il metodo di Carena. Poiché i suoi "cieli" sono un assieme calcolato di soluzioni operative e di volontà di conoscenza e di attuazione che non è possibile ridurre a un orizzonte unico, a una sola illusione: al contrario conosce dimensioni e forme e bisogni differenziati e irreducibili; che significa mai agire se non questo accoglier le differenti motivazioni nella loro varietà per usarle constatando di ognuna realtà e possibilità, forma ed impotenza? Per questo Carena fa dei cieli: non tramiti di simboli o emblemi o iniziazioni particolari, ma ciascuno oggetto, significato di una serie di decisioni agite con metodo critico, funzionale. La natura, i cieli, non son figure di un mito: ma la funzionalità stessa di un modo d'essere, di porsi, di agire.

Paolo Fossati, Presentazione in catalogo personale, Galleria 11 Punto, Torino, gennaio 1968