Senza titolo 1979
Legno, ferro e polietilene
102 × 100 cm
XXIV Premio Termoli 1979
Foto: Gianluca Di Ioia
testo di Andrè Fascetti

Renato Fascetti perfeziona una sua tecnica di superfici sovrapposte, pervenendo con continuità a risultati raffinati e forti. Come Burri si è servito della plastica e come Rotella ha lavorato con le sovrapposizioni e con gli strappi, così Fascetti sovrappone le sue superfici di plastica e chiffon e asportando porzioni di colore ottiene delle immagini frastagliate, frutto contemporaneamente di un lavoro per levare e per mettere che si può paragonare latamente alla vetrata ed al mosaico, che non esistono nel frammento isolato, ma divengono pittura a pieno titolo nella tonalità dell'opera.


Lo spazio che si esprime nelle suggestive invenzioni di Fascetti, è — in piena consonanza di intenti con quelle ricerche che oggi la critica ama definire di « strutture primarie » — uno spazio reale e percorribile, cui non è di certo possibile dare misura col metro della mente, ma che si impone al nostro senso interno proprio per la precisa funzione da cui è nato, e che gli imprescrittibili diritti della fantasia ci attestano certamente provvisto di una oggettività «sui generis»: l'oggettività appunto di quelle forme elementari di orientamento sensibile nelle quali la cultura moderna, nei campi più vari, va sempre più decisamente riconoscendo l'unico possibile inveramento di ogni conoscenza razionale. (D. Durbé).


Si vedrà subito al primo contatto che l'operazione di Renato Fascetti, avvolta tutta nella incidenza da cui è nata senza strepiti né obliquità, si porta tra le poche, pochissime, energicamente indirizzate a offrire, sia pur lente, risposte di Segni Capitali, e non alle basse inchieste del pragmatismo attualizzato; e che si attesta così lontana dalle frenesie consultorie, dalle banali censure psicologiche o psicolitiche correnti, dagli alibi culturalizzati tanto vilmente accolti, appunto, dal pràgmatismo «artistico», là dove la perenzione e l'interdetto delle inutili bandiere dell'«estetica» hanno il sopravvento sugli spiriti facili o non maturi, sulla recente bassa forza che si tramena negli ambulacri di quegli ozi che si definiscono «dell'arte» (E. Villa).


L’artista lavora con cartesiana chiarezza. Sabbia, legno, fili di plastica e di metallo, plexiglas non furono espedienti per sbalordire, quanto materiale pittorico a pieno titolo, idonei ad istituire una dialettica attiva tra pieno e vuoto, tra l'asperità e i crateri e le fratture reali, in un genere che prima (E. Bilardello)


Renato Fascetti nasce a Roma nel 1936 e muore nella medesima città nel 2018. Ha frequentato i corsi di pittura e scultura presso l'Istituto Comunale d'Arte di via di S. Giacomo.

Esordisce nel 1962 in una mostra presso la galleria "Numero" di Fiamma Vigo, a Firenze. Dal 1963 al 1966 risiede in Norvegia, dove espone in spazi pubblici e gallerie private e dove conosce Ivo Pannaggi e stringe con il pittore futurista una profonda amicizia.

Tornato in Italia inizia una ricerca che, partendo dalla superficie del quadro, la superi per far emergere spazi nuovi e profondi. Nel 1967 esordisce a Roma presso la galleria L'Obelisco di Gaspero del Corso. Negli ultimi lavori, con un sintetico e apparentemente elementare linguaggio formale, narra di metafore e suggestioni emotive.