Struttura n. 11 1965
Acciaio e perspex
186 × 50 × 15 cm
XI Premio Termoli 1966
Foto: Gianluca Di Ioia
testo di Mary Angela Schroth, Adriana Camilla Caputo, Sala 1

La Struttura n. 11, realizzata da Franco Cannilla nel 1964, ed esposta al Decennale del Premio Termoli nell’anno successivo, è una delle prime opere documentabili che testimonia l’adesione dell’artista alla tendenza Gestaltica o Neocostruttivista. Tale definizione, rigorosamente teorizzata da Giulio Carlo Argan (XIII Congresso Internazionale di Rimini), venne divulgata in alcuni articoli su “Il Messaggero” nell’agosto 1963 e, in qualche maniera, distinta dalle tendenze ottico-cinetiche internazionali esordienti nel 1959/60. Essendo ancora in elaborazione il catalogo generale delle opere di Cannilla, si registra un’unica numerazione delle opere (tralaltro parte integrante del titolo), redatta dall’artista stesso e da Giorgio Tempesti nella monografia edita a sua curain occasione della sala personale alla Biennale di Venezia del 1966. Da tale numerazione progressiva e da altre valutazioni critiche deduciamo che non si era trattato di un’adesione totale alla Gestalt, quanto di un’evoluzione coerente della ricerca dell’artista, analizzata dallo stesso Tempesti, e già sostanzialmente maturata negli Ideogrammi Spaziali (1958), nell’Itinerario Spaziale 5 (1958) e 8 (1959): opere esposte per iniziativa di Carlo Cardazzo alla Galleria Selecta (Roma, 1959, catalogo a cura di Emilio Villa), e successivamente alla Galleria del Cavallino (Venezia, 1961, catalogo a cura di Giovanni Carandente), che lo pongono in qualche misura come anticipatore di queste tendenze (Filiberto Menna, “Franco Cannilla”, mostra antologica, Caltagirone, 1981). Un percorso che può dirsi compiuto nell’Itinerario Spaziale 9 (1959) e in una, attualmente dispersa, Struttura nello Spazio n. 2 (probabilmente in origine nella collezione Cardazzo), e fatta esporre dallo stesso gallerista al Padiglione del Libro nella Biennale di Venezia del 1962. Ma se il tema iniziale di Cannilla era quello, originato da una riflessione di Martini sulla difficoltà oggettiva, per la scultura, di integrare nell’operalo spazio/ambiente, a cui la tradizionale statuaria classica è estranea (A. Martini, Scultura, lingua morta), esso si evolvegià in altre direzioni nelle opere del 1958 esaminate da Tempesti, dove il profilo della figura diviene “disegno nello spazio”, e in quanto disegno, progetto. Questo viene realizzato poi spazialmente in fasce laminate in metallo o plexiglass, prima curve, poi rettilinee e ortogonali come nella Struttura n. 11, che divengono esse stesse oggetto, o meglio ipotesi di oggetto nel suo puro fenomenizzarsi visivo.

Potremmo anche dire che l’oggetto (la scultura), non è più propriamente un oggetto, ma un “quasi oggetto”, il fenomenizzarsi di un processo, che è anzitutto un processo percettivo.

Gli oggetti che Cannilla costruisce con materiali specchianti e con materie plastiche trasparenti, che sono pure i prodotti ella tecnologia industriale, non si prestano al consumo psichico né psicologico: si danno intatti e intangibili alla percezione e, nell’istante stesso in cui l’occhio li recepisce, la percezione cessa di essere trauma sensoriale e sale a livello di atto intellettivo. Questi oggetti sono misuratori di spazio e selettori di luce. (rielaborazione del testo di G. Cannilla, responsabile Archivio Franco Cannilla).

Franco Cannilla nasce a Caltagirone nel 1911. Dagli anni Cinquanta avvia una ricerca di classica armonia proporzionale nella realizzazione di oggetti di “arte concreta”, anche in rapporto ai nuovi materiali industriali. Dopo aver frequentato il Liceo Artistico di Palermo e per due anni l’Accademia di Belle Arti della medesima città, verso il 1940 si trasferisce a Roma. Qui espone per la prima volta in occasione di una mostra sindacale. Nel giro di qualche anno si orienta a ricerche di carattere astratto. Nel 1943 partecipa alla prima Quadriennale del dopoguerra, la IV. Cannilla allestisce nel 1950 una personale alla Galleria dello Zodiaco di Roma, e si propone nello stesso anno alla XXV Biennale di Venezia.

Dopo un periodo di riflessione sulla sua arte, inizia a lavorare prevalentemente il bronzo. Dall’inizio degli anni Sessanta tende a soluzioni di carattere costruttivista, di sollecitazione percettiva, vicine alle ricerchedi carattere cinetico. Modifica l’uso dei materiali, adottandoanche quelli di produzione industriale: acciaio, plexiglass ecc. Con tale lavoro di carattere cinetico-costruttivista allestisce una sala personale alla XXXIII Biennale del ‘66 a Venezia. Lo stesso anno vinse il Premio Termoli con Struttura n.11 e in seguito l’opera entra nella collezione del Premio Termoli. All’inizio degli anni Settanta inizia a realizzare grandi strutture collocabili all’aperto; approfondisce poi lo studio della grafica e della fotografia astratta.

Muore a Roma nel 1984.