Un fare poetico. Antologia
di Simone Ciglia

“Poema pictura loquens, pictura poema silens” (“La poesia è una pittura parlante, la pittura una poesia silenziosa”). Fra VI e V secolo a.C., Simonide di Ceo stabilisce i termini della comparazione fra pittura e poesia, dando avvio a un dibattito che proseguirà nei secoli: dalla classicità greca e romana – dove si cristallizza nella celebre formula oraziana dell’Ut pictura poësis (Come la pittura, così la poesia) – la disputa si estende a diverse arti nel corso del Rinascimento, quando assume caratteri di competizione nel cosiddetto Paragone. Il rapporto è contenuto in nuce nell’etimologia stessa del termine poesia (dal greco ποίησις), derivante dal greco ποιέω, ovvero “fare”, “produrre”: l’oggetto di questa produzione è ricondotto in senso generico a una creazione che può appartenere a ogni arte [1].

Attorno all’idea di poesia sono raccolti gli artisti in questa sezione del Premio Termoli – Mario Airò, Allison Grimaldi Donahue e Paolo Icaro. Appartenenti a tre diverse generazioni e dediti a pratiche altrettanto differenti, gli artisti sono accomunati da un fare poetico

 

Un soffio: Paolo Icaro

“Nel mio lavoro è presente da sempre, la poesia. È un po’ come la luce di un faro che riesce a mostrare ciò che difficilmente potrebbe essere visto all’orizzonte nel buio completo. Per me la poesia è esortazione e conforto, essendo una compagna delle mie giornate da molto tempo”[2]. In una recente intervista a Davide Dal Sasso, Paolo Icaro pone la poesia al centro del proprio fare. L’artista precisa, tuttavia, di considerarla piuttosto “un desiderio di poesia ammettendo, però, che in questa accezione essa si rivela naturalmente come una ambizione che potrebbe anche non essere soddisfatta”[3].

La poesia scandisce il lavoro di Icaro dagli esordi, quando il primo testo critico è affidato al poeta brasiliano Murilo Mendes. Ancor prima del commento, essa è parte dello stesso processo creativo: l’artista paragona il proprio impegno alla ricerca poetica della parola giusta, che rende manifesta “la necessità di una ritmicità”[4]. Quest’ultima nasce dall’incontro fra la materia, con le sue possibilità, e il gesto che le dà forma seguendo l’idea. È nella vita che avviene questa congiunzione. Il lavoro di Icaro è mosso dal tentativo di rilanciare la stabilità canonica della scultura nell’“umano transitorio” (Pablo Neruda)[5] – l’azione, lo spazio, la misura che lega sé e mondo. Nella sua lunga traiettoria creativa, l’artista ha costantemente riscritto il linguaggio di questo medium attraverso l’impiego di materiali e processi sempre differenti, sfidando ogni tassonomia. Come ha rilevato Mario Bertoni, Icaro tende a “privilegiare le tecniche e i materiali meno compromessi con le accademie, meno contaminati dalla tradizione, come per rinvenire la cultura fuori dai percorsi già storicizzati”[6]. Fra questi, il gesso diventa materiale d’elezione a partire dagli anni Settanta. La scelta del materiale, precisa Lara Conte, è dovuta “al suo modo di agire sul tempo, la sua abilità di catturare l’istante, la sua tendenza a situare l’esperienza in un ‘non finito’, dove tutto è continuamente richiamato in questione, dove materialità e immaterialità rinnovano la loro relazione nella loro attivazione dialettica”[7].

Al gesso è affidato anche Soffio, parte di un ciclo di opere avviato nel 1975. L’opera costituisce l’esito estremo di un tentativo di registrazione delle misure fisiche dell’artista, che parte dalla mano per estendersi al corpo intero. In questo caso, è appunto il suo soffio che s’imprime su una forma circolare di gesso. Emesso sulla materia allo stato liquido, viene fissato nel successivo consolidamento del gesso, generando la forma. Quest’ultima è dunque risultato di una processualità e allo stesso tempo indice di una presenza fisica – quella dell’artista. Il soffio costituisce una delle funzioni basilari del corpo umano nel suo stato vitale: è un segno auscultato dalla semeiotica medica ma è anche – nell’Antico Testamento – il mezzo tramite il quale Dio dà la vita (“ruah”), esteso nella metafora dell’afflato creativo umano. È un fenomeno fisico impalpabile che qui lascia una traccia, seppure leggerissima. Non si tratta però della feticizzazione dell’artista e della sua conseguente mercificazione, ironicamente racchiusa nei palloncini contenenti il Fiato d’artista (1960) di Piero Manzoni. Icaro descrive le proprie opere piuttosto come “momento di congiunzione tra le possibilità offerte dal materiale e il compiersi del gesto – poiché solo l’esperienza ti insegna il momento giusto per attuarlo. Così il gesto prende fisicità, consistenza, è davanti ai miei occhi come traccia di un esserci”[8]. In questa dimensione esistenziale risiede una fragilità rivendicata dall’autore come eredità di una linea scultorea che passa attraverso artisti amati come Edgar Degas, Medardo Rosso, Constantin Brâncuși Alberto Giacometti; una tradizione di epocale messa in questione della logica del monumento che accelera nel corso del Novecento. Più che un’aperta contestazione di questa nozione, Icaro la considera la propria una semplice elusione[9]: l’ideale da perseguire è invece quello della “fluidità”, che egli paragona appunto a quella del poeta. A questa qualità si aggiunge l’instabilità, considerata “ricerca di equilibrio” e “una costante del fare nella nostra vita”[10]. È in questa traccia esistenziale che dimora la poesia.

“Si tratta di riuscire a lavorare su qualcosa come un soffio che rende le cose diverse da quel che c’è già nel mondo. Ma riuscirci presuppone anche di ammettere che tutto è in costante trasformazione”[11].

Alla radice dell’immagine: Mario Airò

La poesia rappresenta uno fra i numerosi, diversi luoghi in cui Mario Airò è stato condotto dal “vagabondare” che dice guidare il suo lavoro: letteratura, filosofia, storia dell’arte, architettura, cinema, sono alcuni dei riferimenti che costellano il lavoro dell’artista, affidati a un’altrettanto ampia varietà di materiali e tecniche. In questo impulso enciclopedico, la poesia compare dagli esordi come presenza all’interno e allo stesso tempo attributo del suo fare, immediatamente riconosciuta nel vocabolario critico che lo accompagna: Giacinto Di Pietrantonio definisce Airò “poeta del niente”[12].; Roberto Pinto vede il suo lavoro snodarsi su una “sottile linea che cerca di rendere ‘poetici’ elementi e situazioni quotidiane. Si tratta di farle ‘rivedere’, rivelarle come se non si fossero mai osservate”[13]. Inizialmente, questa trasmutazione linguistica assume immediatezza nel tentativo di tradurre in senso visivo espressioni poetiche, come l’omerica Aurora dita rosate (1991). Successivamente, è la stessa figura del poeta al centro dell’interesse dell’artista, che nel 1997 dedica due installazioni a Ezra Pound e Friedrich Hölderlin, fra le figure maggiormente ricorrenti nella personale antologia poetica. Entrambi sono, secondo Airò, rappresentanti di un modo di interpretare la propria vocazione artistica basata sull’autoisolamento che descrive come “essere nella corrente”[14]. Il flusso acquatico è quindi letteralmente associato a quello poetico durante un viaggio in Corea, in occasione del quale l’artista visita i padiglioni per poeti: in queste semplici architetture, costruite in modo da avere la visione (e il suono) dell’acqua che scorre, Airò coglie “l’idea di costruire luoghi per l’attività poetica dando forma a un habitat specifico per lei”, fondati sul riconoscimento “della simpatia tra il flusso dell’acqua e quello del pensiero immaginativo e creativo”[15]. Nasce da qui l’installazione site specific Raise High the Roof Beam, Carpenters (1999): un padiglione basato sulla descrizione dello studio che il leggendario scrittore J. D. Salinger aveva costruito per sé nel cortile dell’abitazione in cui viveva recluso, cui l’artista aggiunge una finestra che apre la vista dalla scrivania sullo scorrere del fiume sottostante[16].

Il libro, oggetto e formato della poesia, è un altro dei materiali più assiduamente frequentati nell’opera di Airò. Poggiata orizzontalmente su una mensola, una copia di Alcune poesie di Hölderlin (edizione Einaudi) è illuminata in copertina da un piccolo lampione (Hölderlin, 2003). Il riferimento al poeta romantico tedesco torna in una successiva fase, nella quale è la stessa scrittura a farsi immagine. Un suo verso – selezionato per l’apertura a diverse possibilità di traduzione – è inciso su una composizione di fogli di carta sospesi dall’alto, visibile in trasparenza (L’aperto giorno agli uomini riluce con immagini, 2011). Fra i diversi materiali e processi impiegati per formalizzare citazioni poetiche, il laser di colore verde è quello maggiormente ricorrente: tramite questa tecnologia, Airò proietta sulla parete il componimento più celebre di Ungaretti (M’illumino d’immenso, 2005) o l’inizio di un canto di Ezra Pound (Our dynasty came in because of a great sensibility, 2005), proposto anche sulla superficie attiva di un frottage di paesaggio marino (Frottage di mare e di terra, 2005). Pound gli fornisce anche un ideogramma cinese (posto all’inizio di un suo canto), che diventa per Airò motivo generativo(Ling, 2011). L’artista si muove liberamente dall’immaterialità del medium luminoso alla concretezza oggettuale nello spazio, spesso producendo delle soglie da attraversare. La scrittura, infatti, è intesa da Airò “come apertura”, nella quale si dischiude uno “stato esistenziale di coscienza allargata”[17]. Alcuni versi tratti da un manoscritto di Walt Whitman, ad esempio, sono ritagliati su una serie di pannelli di legno, incorniciati da elementi vegetali (Miele di castagno, 2006). L’artista sceglie dei versi che lo interessano dal punto di vista concettuale, nei quali la poesia si determina “come media fra noi e il mondo”, dove “le cose diventavano significato”[18]. Con un procedimento simile, un altro frammento del poeta americano è inciso su un pannello verde, illuminato da un neon retrostante (Walt’s overture [as of arts], 2007).

Alla luce è legata anche l’opera presentata in occasione del Premio Termoli. Il titolo Fosfene si riferisce a un fenomeno ottico che comporta la visione di manifestazioni luminose ad occhi chiusi, causata da vari fattori. Questo fenomeno guida la rappresentazione, squadernata nell’opera in due tavole giustapposte. In quella maggiore, un asettico fondo bianco è percorso da un segno sottilissimo tratteggiato a tempera calligrafica. Questa traccia è affidata a un pennello dalla punta fine che l’artista adopera “come in caduta, sbilanciato[19], conducendo un colore diluito, ai limiti della percettibilità. La forma appare così determinata dalla densità di tratti, che danno origine a una nebulosa di aloni luminosi. Nella tavola più piccola, viceversa, il segno è determinato dal materiale – il legno di sequoia americana: le sue venature sono ripercorse dall’artista con tre diverse tonalità di verde, evidenziando il movimento della superficie. Nel dialogo fra questi due elementi complementari, Airò delinea una vera e propria fenomenologia dell’immagine. Fosfene nasce dal desiderio di andare alla radice dell’immagine, di raggiungere una sorta di grado zero in cui essa appare, al crocevia fra percezione e immaginazione. L’autore paragona questo processo al principio alchemico del “solve et coagula”, che descrive la dissoluzione e ricostituzione di una sostanza. In questa pulsazione dell’immagine abita la poesia.

L’aperto giorno riluce per l’uomo di immagini…
Riluce il giorno aperto agli uomini d’immagini…
L’aperto giorno agli uomini riluce con immagini
[20]

What is a poet: Allison Grimaldi Donahue

Secondo la definizione offerta da ChatGPT, “La poesia è una forma di espressione letteraria che utilizza il ritmo, l’immaginazione e un linguaggio accuratamente scelto per evocare emozioni, trasmettere idee o raccontare una storia. A differenza della prosa, la poesia è spesso più concentrata e strutturata, con un’attenzione particolare alla musicalità e all’intensità espressiva.

Attraverso l’uso di tecniche come la metafora, il simbolismo, l’anafora e la rima, la poesia crea immagini vivide e significati profondi. Può assumere molte forme, dai sonetti e gli haiku ai versi liberi e alla poesia orale. In ogni cultura e in ogni epoca, la poesia ha rappresentato un modo di dare voce alle emozioni, alle riflessioni e alle esperienze umane più profonde”[21].

L’intelligenza artificiale è citata da Allison Grimaldi Donahue fra gli esempi del cambiamento tecnologico attraversato storicamente dalla poesia, a fronte della costanza dei suoi “materiali grezzi”[22]. Lo stesso mutamento si registra nel lavoro dell’artista, nel quale la poesia è depositata sulla pagina scritta, declamata nella lettura pubblica, performata nell’azione, condivisa nel laboratorio. La sua fede nella parola parlata dichiara un interesse per l’origine stessa della poesia, oggetto di revival nell’ambito del reading consacrato dalla Beat generation di cui Grimaldi Donahue rivendica l’eredità. Quello poetico è peraltro solo uno dei registri di scrittura esercitata dall’artista, che si estende dall’autorialità propria a quella altrui (attraverso il lavoro di traduzione e curatela).

Rifiutando la divisione fra le arti, questo intero armamentario verbale è contestualizzato da Grimaldi Donahue nell’ambito dell’arte contemporanea, come un accadimento in occasione di mostre o in genere all’interno dello spazio espositivo. L’intento dichiarato è instaurare una conversazione più larga sull’arte, raggiungendo un pubblico diverso. Proprio questa idea di poesia come oggetto di trasmissione da un corpo all’altro, ripresa da Charles Olson, è al centro della condivisione del testo. Il femminismo italiano degli anni Settanta (indagato grazie anche a lavori di traduzione come quello relativo ad Autoritratto di Carla Lonzi) è un’altra delle radici fondamentali del lavoro di Grimaldi Donahue. Queste pratiche di lettura e produzione collettiva testimoniano, così, la nuova centralità della poesia nell’ambito dell’arte contemporanea italiana più recente. Il fenomeno è spiegato dall’autrice nei seguenti termini:

“[…] abbiamo bisogno di poesia ora perché fornisce un metodo – un metodo per dare più attenzione al presente, per sfuggire alle forme d’arte consumabili, per impegnarci con altre culture e altri tempi. La poesia, grazie alla sua lentezza e riproducibilità, così come al suo riutilizzo di materiali comuni (linguaggio), è decisamente anti-mercato e non si allontanerà mai molto dai suoi antichi inizi. Con il suo sguardo oblungo e la sua presa scivolosa, la poesia è sempre stata una tecnologia, un modo di fare le cose, uno strumento per comprendere anche quando la comprensione è parziale e opaca[23].”

La poesia è una delle componenti vitali della performance presentata in occasione del Premio Termoli. Qui la poesia rivela un altro legame originario, quello con il canto e la cultura popolare. La figura della cantante Giuni Russo è infatti la maschera scelta dall’artista come intermediario di una conversazione impossibile. Grimaldi Donahue afferma di scrivere poesia “per comunicare con chi non c’è e con me stessa”[24]. In questo caso, l’interlocutore assente è la propria madre scomparsa, legata alla cantante da una serie di coincidenze biografiche: lo stesso anno e luogo di nascita – 1951, Sicilia – e la passione per il canto. Su un set minimale, costellato di pochi oggetti che rimandano a questo incrocio di identità (come una serie di cartoline siciliane), l’artista orchestra una conversazione con queste figure femminili sdoppiate. Icona queer, Russo diventa così il tramite per parlare del non detto: una ineffabilità che solo la poesia è capace di dischiudere perché – come afferma Jack Spicer – “la prosa inventa – la poesia rivela”.

poetry requires such patience
the letting go to listen
the real closeness
of unthinking
unworrying
fleshy throats
[25]


[1] Sono debitore a Paolo Icaro per questa riflessione etimologica.

[2] Paolo Icaro, “Poesia e materia: intervista a Paolo Icaro,” intervista di Davide Dal Sasso, Artribune, 25/02/2022, https://www.artribune.com/professioni-e-professionisti/who-is-who/2022/02/intervista-paolo-icaro-poesia-scultura/

[3] Ibid.

[4] Ibid.

[5] Pablo Neruda, Le pietre del cielo, ed. Giuseppe Bellini (Firenze-Antella: Passigli Editori, 2004).

[6] Mario Bertoni, Paolo Icaro (Ravenna: Edizioni Essegi, 1990), 16.

[7] Lara Conte, Paolo Icaro. Faredisfarerifarevedere (Milano: Mousse, 2016), 188.

[8] Icaro, “Poesia e materia”. 

[9] Paolo Icaro, “Paolo Icaro,” intervista di Michele Bramante, Espoarte 99, no. 4 (anno XVIII, Ottobre 2017): 40.

[10] Icaro, “Poesia e materia”. 

[11] Ibid.

[12] Giacinto Di Pietrantonio, Prima Linea: The New Italian Art (Trevi: Flash Art Museum, 1994).

[13] Roberto Pinto, Prima Linea: The New Italian Art (Trevi: Flash Art Museum, 1994).

[14] Le opere erano state presentate in occasione della mostra personale Welcome to my monasterio, svoltasi nel 1997 presso Casa Masaccio a San Giovanni Val d’Arno (AR).

[15] Mario Airò, Modellare l’acqua, testo di presentazione del progetto, 2018, inedito. Citato in: Simone Ciglia, ed., La forma della terra. Geografia della ceramica contemporanea in Italia (Castelbasso: Fondazione Malvina Menegaz, 2020), 67.

[16] Su questo lavoro vedi in particolare il testo dell’artista in Mario Airò. La stanza dove Marsilio sognava di dormire… e altri racconti(Torino: Galleria d’Arte Moderna, 2001), 107.

[17] 2 minuti di MAMbo 80. Mario Airò, https://www.youtube.com/watch?v=idcU-HD00Cg.

[18] Ibid.

[19] Colloquio con Mario Airò, 10 gennaio 2025.

[20] Tre possibili traduzioni di un verso di Hölderlin menzionate da Mario Airò nel comunicato stampa della mostra Mario Airò. Ling, Galleria Sales, Roma, 2011. https://www.exibart.com/evento-arte/mario-airo-ling/

[21] ChatGPT, risposta alla domanda “Che cos’è la poesia”, 12 marzo 2025. 

[22] Allison Grimaldi Donahue, “Voices on the Radio, Language on My Mind: Poetry’s Resurgence in Contemporary Art”, Mousse magazine, 04.06.2024, https://www.moussemagazine.it/magazine/voices-on-the-radio-language-on-my-mind-allison-grimaldi-donahue-2024/

[23] Ibid.

[24] Conversazione con l’artista, 11 marzo 2025.

[25] la poesia richiede tanta pazienza / il lasciarsi andare per ascoltare / la vera vicinanza / del non pensare / non preoccuparsi / gole carnose.

Allison Grimaldi Donahue, trascrizione della performance, Giuni Russo poet drag-singing, 2023.