Pietra Kubus 1972
Travertino
34 × 34 × 10 cm
XXIII Premio Termoli 1978
Foto: Paolo Lafratta
testo di Archivio Nato Frascà

Ricercare, per Frascà, è interrogarsi; dove interrogazione (a partire da quella sul darsi e farsi dell’opera propria) è ricerca.

E’ il quaero, non pono” (interrogo, non affermo) che, tratto da un cabalista del seicento, Jung aveva posto ad incipit de La psicologia del transfert.

Pietra Kubus o Kubus Pietra del 1972, presentata al XXIII Premio Termoli del 1978, su invito di Vanni Scheiwiller, è questo.

Le opere di Frascà sono questa attitudine – che è necessità interiore – in atto; spesso condotta su oggetti e strutture che, nella loro indagine sperimentativa, provocano, già al proprio autore, sorprese, soprassalti, sconcerto.

Durante gli anni del Gruppo Uno (che conclude l’esperienza collettiva nel 1967) Frascà, sostenuto da un intenso studio della Teoria dei colori di Goethe, si era volto sulle superfici diagonali degli Strutturali sul piano, in cui il reticolo geometrico, indagato nelle variazioni cromatiche alla luce, provocava persistenti effetti percettivi; si era poi orientato alle diagonali traversanti il quadrato in tridimensione (nelle Gabbie strutturali e Gabbia cubica); poi, ancora in tridimensione, nella tensione e torsione delle linee degli Strutturali varianti, presentati alla Biennale di Venezia del 1966.

Ma contemporaneamente, tra il 1965 e il 1966, nella intensissima e folgorante esperienza delle riprese e del lungo montaggio del film sperimentale Kappa, era avvenuta, secondo un linguaggio joyciano, la rottura del piano: da quello narrativo, al fuorisincrono tra immagine e parola, all’utilizzo fratto di immagini girate o frame dal repertorio televisivo e dai fumetti, alla composizione della colonna sonora costituita in gran parte dal proprio battito cardiaco e da musica d’avanguardia.

Nel Rebis, indagato tra il ’67 e il ’71, aveva scoperto una forma sorprendente, dovuta all’unione di quattro delle sei diagonali delle facce del cubo, che rivelava possedere magiche varianti d’immagine e al contempo insospettate possibilità applicative (da tavolo a libreria a gioiello a ipotesi architettonica).

Nel Kubus, si era poi riportato al piano e all’essenza del quadrato riposizionato e come risintetizzato in superficie.

La Pietra Kubus, sperimentazione e alzato del Kubus in tridimensione, secondo i movimenti dell’osservatore, assume forme mutevoli e sorprendenti: l’ambiguità che la forma di base quadrata espone nel suo orientamento in altezza di 45°, le figure percettivamente recepite, mettono in crisi la certezza dell’oggetto: costituiscono l’oggetto - cioè la realtà - visto, colto e ripensato (quindi liberato) fuori dalla realtà o “gabbia” prospettica.

E’ proprio questo stato di dubbio, di crisi di certezza, che è, per Frascà, passo necessario per aprirsi a nuove realtà e dimensioni, cioè alla ricerca; che diverrà anche e soprattutto ricerca del vero, dove il ‘vero’ è ciò che di più profondo è situato dentro di noi, scoprendo al contempo come esso sia intimamente e fortemente legato a segni, segnali, “maestà geometriche” così come intime “tracce energetiche” che rimandano sempre a universali matrici.

Torna qui quella “esistenza meravigliosa e linguaggio ineffabile” già uditi dal diario del ’61, percepiti, ascoltati, attraversati; quel “messaggio evocato sopra e dentro di sé”, che Frascà porterà e proporrà, in cinquant’anni di ricerca, in pittura, scultura, architettura, nel design, cinema, teatro, nell’insegnamento e nella teoria e pratica di laboratorio di cui il volume L’Arte, all’ombra di un’altra luce, edito nel 1998, è unitaria testimonianza.